Usa-Cuba: nuove rivelazioni su 50 anni di trattative riservate

fidel ny Dopo il disastroso tentativo di sbarco nella Baia dei Porci, nell’aprile del 1961, le malconce relazioni fra Washington e L’Avana, già provate dalla crisi dei missili, crollano al minimo storico. L’operazione voluta dalla Cia lascia sul terreno 238 morti e i 1.189 superstiti vengono tradotti in carcere a L’Avana. Nell’estate del ’62 l’amministrazione Kennedy invia nella capitale cubana un negoziatore segreto, James Donovan, con il compito di trattare la liberazione dei reduci dello sbarco. L’emissario americano ha precise disposizioni da Robert Kennedy: la trattativa non solo è riservatissima, ma si deve limitare alla sola liberazione dei prigionieri. Donovan nei mesi che seguono incontra Fidel Castro in molte occasioni, ed è quest’ultimo a chiedergli, nell’aprile del ’63, se è possibile trovare una strada perché queste relazioni diventino stabili. Donovan chiede a Fidel se sa come si accoppiano i porcospini e siccome il suo interlocutore non ne ha idea replica: «lo fanno con grande circospezione e questo è l’unico modo in cui lei e il governo americano possono tentare di arrivare a questo risultato». Kennedy viene assassinato a Dallas sette mesi dopo, peraltro da Lee Oswald di cui erano note le simpatie castriste, ma la macchina delle trattative segrete è ancora all’opera e lo sarà per molti decenni a seguire.

Back Channel to Cuba, appena pubblicato negli Usa e firmato dagli storici William LeoGrande e Peter Kornbluh, racconta mezzo secolo di trattative sotterranee fra L’Avana e Washington a partire dalla presidenza Eisenhower per arrivare a quella di Obama. Con la tecnica del porcospino si otterranno in qualche caso dei risultati accettabili, in altri il fallimento sarà totale, anche perché negli anni ’60 la sezione operazioni clandestine della Cia farà di tutto per assassinare Castro, ma senza successo. A questa discreta ma infaticabile strategia di colloqui segreti partecipano in molti: giornalisti come il francese Jean Daniel e l’americana Lisa Howard della ABC News, che diventa una delle fonti più attendibili per sondare le disponibilità di Castro. Gli incontri non avvengono solo all’Avana, ma anche in insospettabili appartamenti privati a New York dove si organizzano after dinner, a cui partecipano nomi di spicco della cultura e della jet society americana, mentre l’ospite d’onore è Che Guevara. E’ la diplomazia dei cocktail impreziosita dai wyskey d’annata che bevono le upper classes e dall’inconfondibile aroma dei sigari cubani. In questi appuntamenti mondani, a cui lo scrittore Norman Mailer si presenta già ubriaco, c’è sempre l’occasione perché in una saletta riservata qualche delegato americano abbia modo di parlare liberamente con l’illustre e nemico ospite.
In modo sicuramente meno glamorous altri incontri vengono «facilitati» da iniziative di paesi terzi, anche perché la politica cubana riverbera su molti stati del centro America, come Messico, Spagna e Brasile. Ma L’Avana diventa una tappa obbligata, anche se ci si va con grande discrezione, per uomini d’affari, politici di medio calibro e coloriti personaggi: l’ospitalità di Fidel Castro è generosa e latina, si organizzano battute di pesca o cene in qualche villa poco in vista di Varadero. Insomma siamo molto lontani dal clima ufficiale caratterizzato dall’eterno antagonismo – così lo aveva definito Henry Kissinger, che pur è stato un grande attore nel tessere la tela di relazioni fra Cuba e Stati Uniti – al punto che alcuni documenti riservati del Dipartimento di Stato si lamentano di questo via vai di personaggi, che sembra sfuggire a qualsiasi forma di coordinamento. Certo l’embargo americano è stringente ma ogni occasione è buona per sondare la controparte e fare timide aperture, anche perché gli approcci diretti vengono considerati essenziali sia dai democratici che dai repubblicani. I luoghi per il faccia-a-faccia sono a volte insospettabili, ci sono incontri furtivi a Parigi, Cuernavaca e Toronto, ma anche in alberghi a cinque stelle, caffetterie affollate e persino sui gradini del Lincoln Memorial di Washington. Nel frattempo i rapporti ufficiali sono molto tesi, le crisi si susseguono per molte amministrazioni e non mancano vistosi sgarbi da una parte e dall’altra. Le cose tendono a migliorare con la presidenza Ford e soprattutto con quella Carter, anzi l’ex presidente sarà una sorta di ambasciatore plenipotenziario per le relazioni con Cuba.
Le dimissioni di Fidel Castro, che vengono pubblicamente annunciate nel 2008, e la reggenza del fratello Raùl portano a un regime di riforme economiche nell’isola caraibica e un anno dopo è Barak Obama a cancellare alcune restrizioni per chi vuole rientrare a Cuba per incontrare la sua famiglia di origine. L’incontro storico che chiude questo periodo è la stretta di mano fra Obama e Raùl Castro ai funerali di Mandela. E’ un gesto che simbolico che apre la stagione di nuove relazioni diplomatiche: il 14 di maggio il presidente americano ha depennato Cuba dalla lista dei paesi che finanziano il terrorismo, dove figurava dal lontano 1982. Insomma mezzo secolo di contatti sotterranei hanno finalmente portato a un risultato inseguito per decenni.
(dal Sole 24 Ore del 21 giugno del 2015)

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