La Corea del Nord non è governata da un pazzo, anche se ci fa comodo crederlo


Il dittatore nord coreano Kim Jong Un non è un pazzo e non è assistito da militari fuori di senno e assetati di sangue. Neanche Trump, che ama le iperbole, può giocare d’azzardo, bombardare qualche struttura militare di Pyonyang comporta qualche rischio. I due contendenti, quindi, non si muovo alla cieca, perché debbono rispettare le leggi della dissuasione. Il rebus di cosà farà uno dei due e come risponderà l’altro non è un gioco a somma zero anche se i telegiornali e i media in generale amano l’hype, ovvero le esagerazioni. Che si sia vicino a una guerra vera è cosa abbastanza improbabile, perché non conviene a nessuno dei due. Se non si impara questa lezione non si fa alcun passo avanti per capire come funziona la dissuasione. I militari, di una parte e dell’altra non sono a digiuno delle regole che governano la teoria dei giochi. E’ bene non cadere in facili tranelli. Continua a leggere

Usa-Cuba: nuove rivelazioni su 50 anni di trattative riservate

fidel ny Dopo il disastroso tentativo di sbarco nella Baia dei Porci, nell’aprile del 1961, le malconce relazioni fra Washington e L’Avana, già provate dalla crisi dei missili, crollano al minimo storico. L’operazione voluta dalla Cia lascia sul terreno 238 morti e i 1.189 superstiti vengono tradotti in carcere a L’Avana. Nell’estate del ’62 l’amministrazione Kennedy invia nella capitale cubana un negoziatore segreto, James Donovan, con il compito di trattare la liberazione dei reduci dello sbarco. L’emissario americano ha precise disposizioni da Robert Kennedy: la trattativa non solo è riservatissima, ma si deve limitare alla sola liberazione dei prigionieri. Donovan nei mesi che seguono incontra Fidel Castro in molte occasioni, ed è quest’ultimo a chiedergli, nell’aprile del ’63, se è possibile trovare una strada perché queste relazioni diventino stabili. Donovan chiede a Fidel se sa come si accoppiano i porcospini e siccome il suo interlocutore non ne ha idea replica: «lo fanno con grande circospezione e questo è l’unico modo in cui lei e il governo americano possono tentare di arrivare a questo risultato». Kennedy viene assassinato a Dallas sette mesi dopo, peraltro da Lee Oswald di cui erano note le simpatie castriste, ma la macchina delle trattative segrete è ancora all’opera e lo sarà per molti decenni a seguire. Continua a leggere

Cosa c’è dietro l’allarme per al Qaida?

yemen-aqap-ricin La stampa internazionale si sta chiedendo da giorni cosa c’è sotto la chiusura di 22 sedi diplomatiche statunitensi in Nord Africa e in Medio Oriente. I comunicati stampa ufficiali non sembrano rivelare il minimo dettaglio necessario per costruire un’ipotesi e alcune dichiarazioni non aiutano, anzi confondono. Ad esempio il capo dello Stato Maggiore Congiunto, Martin Dempsey, ha dichiarato alla ABC che stavolta il pericolo «è più circostanziato di quelli conosciuti in passato» e che la minaccia non riguarda solo gli Stati Uniti ma più in generale il mondo occidentale. Il 1 agosto Obama ha chiesto che si prendessero «tutte le misure necessarie» per difendere gli interessi americani da possibili attentati di al Qaida. Ora se le minaccia fosse realmente più circostanziata, e non generica come sembra sostenere la richiesta di Obama, lo scenario sarebbe un altro. Significa che la minaccia è certa ma che non è chiaro dove il terrorismo internazionale potrà colpire? Oppure la CIA ha informazioni più dettagliate sui probabili bersagli e quindi preferisce un allarme di carattere generale per non svelare le sue carte? C’è in atto un’operazione coperta e su vasta scala per cui il warning, pur generico, è necessario per far sì che tutti i cittadini americani che vivono in questi paesi – e che non necessariamente fanno parte del corpo diplomatico − adottino le necessarie misure di sicurezza? E’ buio pesto e un’ipotesi vale l’altra.  Continua a leggere